• Fotovoltaico con Batterie

    Fotovoltaico con batteria: con gli incentivi e i prezzi attuali, quanto conviene?
    Abbinare un sistema di accumulo ad un impianto fotovoltaico esistente, grazie agli incentivi disponibili consente quasi sempre di rifarsi della spesa iniziale in tempi accettabili. Un’analisi economica secondo varie casistiche, con batterie al piombo o al litio e per varie ipotesi di utenza.

    Quanto costa aggiungere una batteria a un impianto fotovoltaico esistente? Ma, soprattutto, è conveniente installare un sistema di accumulo e, se sì, quanto si risparmia e in quanto tempo si riesce a rientrare dell’investimento?

    Per rispondere a queste domande abbiamo chiesto aiuto ai ricercatori di RSE, che hanno condotto un’analisi economica, basata sui prezzi attuali dei sistemi di energy storage e sugli incentivi di cui si può usufruire al momento in Italia (qui la versione integrale dell’articolo che presenta l’analisi, curato dall’ingegner Dario Bertani di RSE).

    I risultati? Aggiungendo un accumulo a un impianto fotovoltaico esistente – grazie anche agli incentivi – si riesce a recuperare la spesa in tempi accettabili: soli 6 anni nei casi più favorevoli, ma i fattori in gioco sono molti e il payback time si può allungare.

    Le tipologie di utenza considerate

    Nell’analisi si sono considerate tre diverse variabili: la potenza dell’impianto fotovoltaico che gli utenti già possiedono, i consumi elettrici e il tipo di batterie installate.

    Si è valutato il caso di un impianto fotovoltaico esistente da 3 kWp e quello in cui il sistema sia da 5 kWp, mentre in entrambe le ipotesi si è considerata una produzione di circa 1.150 ore equivalenti annue, tipica del Nord Italia, e che l’impianto goda degli incentivi del V Conto Energia.

    I ricercatori di RSE sono poi andati a vedere come cambia la convenienza a seconda dei consumi, valutando profili da 2000 a 6000 kWh/anno, e della tecnologia scelta per lo storage: batterie al piombo, più economiche ma con vita utile più breve, o al litio.

    Il livello di autoconsumo raggiungibile, cioè la quantità di elettricità prodotta dal fotovoltaico che si riesce a consumare senza farla passare per la rete, varia tra 50 e 80% con impianto fotovoltaico da 3 kWp, e tra 30 e 60% con impianto da 5 kWp.

    Da sottolineare che nel calcolare i costi dell’elettricità prelevata dalla rete si è usata la nuova tariffa TD, non progressiva, che sarà applicata a pieno dal 2018 e che è meno conveniente di quella attuale per chi decide di ridurre i prelievi dotandosi di un batteria, dato che fa pagare meno rispetto ad adesso coloro che consumano di più.

    I costi e il dimensionamento della batteria

    Nell’analisi si è considerato un costo indicativo di 700 €/kWh utile per le batterie al litio e di 250 €/kWh per il piombo, ai quali va aggiunta la spesa per il convertitore bi-direzionale, i costi di installazione e altre spese aggiuntive.

    L’investimento però – a parità di tecnologia – cambia a seconda dei consumi dell’utente, dato che chi consuma di più installerà una batteria con più capacità.

    “Per gli utenti più energivori, con consumi da 4000 kWh/anno in su, abbiamo considerato sistemi di accumulo da circa 5,5 kWh di capacità utile – ci spiega l’ingegner Dario Bertani di RSE – Questo si traduce per il litio, per il quale consideriamo un 90% di profondità di scarica (DOD), in poco più di 6 kWh nominali, mentre per il piombo, 50% DOD, in circa 11 kWh nominali. Per gli utenti con consumo più basso, solo nel caso del litio, abbiamo ritenuto opportuno considerare una capacità inferiore, pari a circa 3,5 kWh di capacità utile.”

    Ma, in soldoni, quanto si spende a seconda dei consumi e della tecnologia scelta? Chi consuma più di 4000 kWh/anno – e dunque ha bisogno di una batteria da 5,5 kWh utili – se sceglie il litio dovrà investire per lo storage, considerando tutte le spese, circa 5800€, mentre se opta per il piombo spenderà tra i 3.500 e i 4000 euro.

    Chi ha consumi inferiori, se sceglie il litio può accontentarsi di un accumulo più piccolo, da 3,5 kWh, per una spesa complessiva di circa 3800 € (mentre con il piombo servirà comunque una batteria da 5,5 kWh).

    Gli incentivi disponibili

    Nel valutare la convenienza economica si è tenuto conto sia del contributo della Regione Lombardia, erogato all’acquisto e pari al 45-50% della spesa (si veda qui per i dettagli), che delle detrazioni fiscali del 50%, spalmate su 10 anni.

    I due incentivi, come chiarito a QualEnergia.it dall’Agenzia delle Entrate, sono tra loro cumulabili, ma la detrazione fiscale si applica solo sulla parte di spesa lasciata scoperta dall’incentivo regionale.

    Ad esempio, se su una spesa di 5.800 euro l’incentivo lombardo eroga subito 2.900 euro, la detrazione fiscale verrà applicata solo sui 2.900 euro restanti, con un contributo di 1.450 euro, erogati in 10 rate annuali da 145 euro, scalate dalle tasse.

    In pratica su un investimento di 5.800 euro i due incentivi cumulati rimborsano complessivamente 4.350 euro. Per chi non vive in Lombardia e deve accontentarsi solo delle detrazioni fiscali del 50%; qui l’incentivo scende a 2.900 euro (erogate in 10 rate annuali da 290 euro).

    Il risparmio ottenibile e il payback time

    A rendere conveniente l’installazione di un sistema di accumulo su un impianto esistente, oltre all’incentivo, c’è poi ovviamente il risparmio fornito dalla batteria in sé, che permette di aumentare l’autoconsumo (il V Conto Energia, alternativo allo scambio sul posto, è in questo più conveniente per chi sceglie di mettere una batteria incentivata).

    Per utente da 5000 kWh/anno – spiega Bertani – il risparmio è superiore ai 300 €/anno; per chi consuma 3000 kWh/anno invece il risparmio è superiore ai 200 €/anno.

    Ma quanto ci vuole per rifarsi dell’investimento? Per chi sceglie le batterie al litio l’investimento può tornare in poco più di 8 anni, da confrontare con una vita utile delle batterie stimata in oltre 20.

    In caso di sistemi di accumulo al piombo, grazie al minor costo della tecnologia, si scende addirittura a 6 anni, ma qui va considerato che dopo poco più di 8 anni la batteria sarà da sostituire, con la relativa spesa.

    Cosa influenza il payback time

    Quelli citati sopra, però sono i risultati migliori in quanto a tempo di rientro dell’investimento, riferiti a chi ha un consumo relativamente alto, tra 4000 e 5000 kWh/anno, e un impianto solare da 5 kWp. Le cose cambiano, come si vede nei grafici in basso, in altre situazioni.

    Ad esempio, per utenti con gli stessi consumi indicati sopra, l’attrattività dell’investimento diminuisce se questi hanno un impianto fotovoltaico da 3 kWp, sottodimensionato rispetto al loro fabbisogno energetico. In questi casi infatti la percentuale di autoconsumo è già alta senza ricorrere all’accumulo, e dunque il beneficio di quest’ultimo si riduce.

    Come si vede, poi, superata una certa soglia di consumo il payback time comincia ad allungarsi, in quanto anche in queste utenze si ha una quota consistente di autoconsumo già in assenza dell’accumulo.

    Il risparmio in bolletta garantito dalla batteria inoltre scende per chi ha consumi bassi – sotto i 3000 kWh l’anno – anche se i tempi di rientro dell’investimento restano interessanti, di poco inferiori a 10 anni. Per questi consumatori – osservano gli autori dell’analisi – la spesa annua in energia annua è infatti piuttosto limitata e offre poco spazio per recuperare l’investimento.

    Altro fattore da non trascurare per valutare la redditività dell’investimento è il livello di autoconsumo antecedente e successivo all’installazione dello storage. “È ragionevole pensare – spiega Bertani – che utenti con profili di consumo particolarmente concentrati nelle ore serali, o utenti con impianto FV di taglia maggiore, abbiano una percentuale di autoconsumo di partenza inferiore a quella da noi calcolata, e abbiano quindi maggiori chance di rientro anticipato dell’investimento.”accumulo batterie fotovoltaico

  • Bando e Batterie accumuli fotovoltaico

    È stata pubblicata oggi la deliberazione 4769 del 28 gennaio 2016 della Regione Lombardia che definisce due nuove misure di incentivazione per la diffusione dei sistemi di accumulo e della ricarica privata per veicoli elettrici. Primi casi in Italia di incentivo pubblico per questa tipologia di interventi.

    Ecco allora come verranno destinati i 4.130.686,82 disponibili presso Infrastrutture Lombarde s.p.a.:

    € 1.130.686,82 per incrementare del 30% il contributo ai beneficiari del bando «Edifici a emissioni zero» di cui al d.d.g. 10652/2010;
    € 2.000.000 per l’acquisto e all’installazione di sistemi di accumulo di energia elettrica prodotta da impianti solari fotovoltaici;
    € 1.000.000 per l’acquisto e all’installazione di sistemi di ricarica domestica per veicoli elettrici.
    Il secondo e terzo bando (vedi sotto l’allegato), per un totale di 3 milioni di € di fondi, sono a sportello, con accesso in ordine cronologico fino a esaurimento delle risorse.

    Bando accumuli per il FV

    In merito al bando accumuli per il FV, i 2 milioni di euro potrebbero essere rifinanziabili con ulteriori risorse aggiuntive derivanti dalle economie del bando “Edifici ad Emissioni zero” (ADPQ Ambiente Energia).

    L’obiettivo del bando è l’acquisto e l’installazione di sistemi di accumulo di energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici. Sono escluse le spese relative all’acquisto e all’installazione dell’impianto fotovoltaico e le spese per interventi edilizi.

    Ne potranno beneficiare i soggetti pubblici e privati residenti in Lombardia e il contributo ammesso sarà fondo perduto fino al 50% delle spese dell’intervento (IVA compresa), fino ad un massimo di 5.000 euro per ciascun intervento ammesso.

    Ricordiamo che il sistema di accumulo è incompatibile con gli impianti FV incentivati con il I° Conto Energia in scambio sul posto.

    I sistemi di accumulo dovranno soddisfare i seguenti requisiti:

    sistemi di accumulo connessi a impianti fotovoltaici dotati di generatore di potenza nominale fino a 20 kW;
    sistemi di accumulo collegati secondo gli schemi di connessione previsti dalla norma CEI 0-21;
    sistemi di accumulo realizzati con tecnologia: elettrochimica (es., Pb acido, ioni di Litio) o meccanica (es. volano)
    Il contributo a fondo perduto – spiega la Regione – è cumulabile con altre forme pubbliche di contribuzione comunitarie, statali, regionali o provinciali , fino al raggiungimento del 100% delle spese ammissibili. Per le imprese il contributo è cumulabile se rispetta il regime del de minimis.

    Sono ammesse spese a decorrere dalla data di conferma della prenotazione del contributo per:

    costo d’acquisto del sistema di accumulo e dell’eventuale contatore aggiuntivo per la misura dell’energia scambiata dal sistema di accumulo, se richiesto dalla norma CEI 0-21.
    costo dell’installazione del sistema di accumulo e dell’eventuale contatore aggiuntivo,
    costo approntamento della documentazione tecnica per il GSE (se l’impianto fotovoltaico è incentivato dal Conto Energia) e per il Distributore di energia elettrica;
    IVA, se non detraibile.
    Bando per punti di ricarica domestica per autoveicoli elettrici

    Per quanto riguarda il bando per l’acquisto di punti di ricarica domestica per autoveicoli elettrici, questo è rivolto a privati cittadini, condomini, ditte individuali e società, residenti (o con sede operativa) in Lombardia. Il contributo a fondo perduto è fino all’80% delle spese dell’intervento, IVA compresa, fino ad un massimo di 1.500 euro per ciascun intervento ammesso.

  • Amianto: dal 2016 credito d’imposta del 50% per chi bonifica

    La commissione Ambiente del Senato ha dato il suo via libera ad un emendamento al collegato ambientale che consente lo svincolo di 5,667 milioni all’anno destinati alla bonifica dall’amianto.

    Le risorse sono destinate ai titolari di reddito d’impresa che effettuano nell’anno 2016interventi di bonifica dell’amianto su beni e strutture produttive. Il tetto di spesa è stato fissato a 5,667 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, con un credito d’imposta del 50% delle spese sostenute per interventi realizzati nel periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore dell’articolo.

    Il credito d’imposta – si legge nel testo – non spetta per gli investimenti di importo unitario inferiore a 20.000 euro.

    E’ ripartito nonché utilizzato in 3 quote annuali di pari importo e indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di riconoscimento del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi di imposta successivi nei quali il credito è utilizzato.

    Un decreto successivo, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, fisserà modalità e termini per la concessione del credito d’imposta a seguito di istanza delle imprese da presentare al Ministero dell’ambiente.

    “Al fine di promuovere la realizzazione diinterventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto, a tutela della salute e dell’ambiente, è istituito, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Fondo per la progettazione degli interventi di bonifica di beni contaminati da amianto, con una dotazione finanziaria di 5,536 milioni di curo per l’anno 2015 e di 6,018 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017. Il funzionamento del fondo è disciplinato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individua anche i criteri di priorità per la selezione dei progetti ammessi a finanziamento”, si legge ancora nel testo dell’emendamento.

    smaltimento amianto

     

     

     

  • Normative caldaie

    Come ben sapete, possedere una caldaia significa dover effettuare dei controlli periodici. E’ innanzitutto necessario fare un po’ di chiarezza sull’argomento. La revisione dell’impianto è da tenere ben distinta dal controllo dell’efficienza energetica, meglio conosciuta anche con i nomi di verifica dei fumi o bollino blu.Il primo intervento è obbligatorio per tutti i tipi di impianto di riscaldamento, compresa la classica caldaia domestica installata all’esterno con potenza inferiore a 35 kw; per quanto riguarda invece il controllo di efficienza energetica questo è previsto per tutti gli impianti che superino una potenza di 10 kw.

    1. Qual è la differenza fra la manutenzione ed il controllo fumi della caldaia?
    La manutenzione della caldaia consiste nella pulizia del bruciatore, dello scambiatore di regolazione, sicurezza e controllo, nella verifica del corretto ed efficiente scarico dei fumi. In altri termini, consiste in tutte quelle operazioni tese a conservare l’impianto in uno stato nel quale può adempiere alla funzione richiesta.Il controllo dei fumi della caldaia, invece, consiste nell’esame dei fumi della caldaia, più precisamente nell’analisi della combustione per verificarne il rendimento, la concentrazione di ossido di carbonio (CO) e l’indice di fumosità. Come si effettua nello specifico? Si prelevano i prodotti di combustione e si misura se i valori sono conformi ai valori di soglia indicati nelle norme.

    2. Perché la revisione ed il bollino blu della caldaia sono controlli necessari?
    Gli interventi di revisione e bollino blu della caldaia sono controlli necessari perché oltre a garantire la sicurezza degli ambienti domestici, favoriscono il risparmio energetico (e dunque economico), riducendo anche le emissioni inquinanti.In particolare, la revisione ordinaria prevede pulizia, controlli sulla sicurezza e sul funzionamento; un’operazione logicamente da effettuare nella stagione in cui il riscaldamento è spento. Altra cosa è invece è l’esame dei fumi, obbligatoria per legge perché serve a misurare la quantità dei gas presenti nella combustione, tra i quali il monossido di carbonio, permettendo così di tenere sotto controllo sia la sicurezza sia l’inquinamento atmosferico. Minori emissioni di CO e CO2 significa infatti bruciare meno combustibile e quindi immettere nell’atmosfera meno fumi di scarico.

    3. La normativa di riferimento per la certificazione caldaia
    La normativa di riferimento per la certificazione della caldaia deriva da diverse norme di legge. Il controllo dell’efficienza energetica è sancito dal Decreto Legislativo n. 192 del 19 agosto 2005, integrato successivamente dal D.P.R. 74/2013 che si conforma alla direttiva europea 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia.La manutenzione e pulizia delle caldaie è invece regolamentata dal D.Lgs 311/06, che ha integrato e corretto il precedente D.Lgs 192/05.

    4. Quali rischi in caso di mancata revisione e fumi caldaia?
    I rischi in caso di mancata revisione e verifica fumi della caldaia sono tipicamente 4:La fuoriuscita di gas (nel caso di apparecchi alimentati a gas, metano o gpl), pericolosa in quanto può a sua volta comportare un’intossicazione o, peggio ancora, uno scoppio;La creazione di monossido di carbonio. Rischio da non sottovalutare perché l’incidente può avvenire con tutti i tipi di combustibile e può derivare sia dal fatto che fiammelle brucino l’ossigeno, senza che nelle stanze ci si un ricambio d’aria, sia dall’intasamento dei tubi di scarico dei fumi;L’incendio del combustibile (un rischio presente in particolare in caso di caldaia a gasolio o kerosene);Le fulminazioni o gli incendi causati da corti-circuiti negli impianti elettrici che servono la caldaia.Le statistiche ci dicono che la maggior parte degli incidenti è causato da impianti a metano essendo il combustibile più diffuso e il più utilizzato dalle caldaie individuali. Incidenti che sono provocati spesso per imperizia, trascuratezza e scarsa cura dedicata dal proprietario dell’impianto.

    5. Ogni quanto la revisione e la prova fumi caldaia sono necessari?
    Ad innovare la disciplina di riferimento per la revisione degli impianti di riscaldamento delle abitazioni, è il DPR n. 74 del 2013. Con tale norma cambiano i tempi per sapere ogni quanto la revisione e la prova fumi caldaia sono necessari. Vene affidata infatti, per la prima volta, alla ditta installatrice la possibilità di indicare la periodicità e la tipologia di operazioni di manutenzione e pulizia da compiere, in genere ogni 1 o 2 anni. Nel caso in cui la ditta non fornisca indicazioni, faranno fede le indicazioni riportate dal costruttore della caldaia sul libretto di impianto. Solo nel caso in cui mancassero anche questi dati, ci si riferirà infine alle norme UNI e alle norme CEI della caldaia (esempio per le caldaie domestiche inferiori a 35 kw fa fede la norma UNI 10436/96 mentre per le caldaie condominiali di potenza superiore a 35 kw ci si riferisce alle norme UNI 10435/95).Per il controllo dell’efficienza energetica , il classico controllo dei fumi della caldaia e del rendimento di combustione (chiamato spesso anche “Bollino blu”) vale un’altro discorso. A stabilire la periodicità dei controlli in tal caso è la legge, più precisamente l’allegato A del DPR di cui sopra, che uniforma la manutenzione della caldaia alle normativa Europee sulla periodicità dei controlli.

    Il nuovo regolamento ha previsto il rinnovo del Bollino blu come segue:impianti a gas metano o GPL: ogni 4 anni;impianti termici a combustibile liquido o solido: ogni 2 anni;caldaie con potenza superiore a 100 Kw: i tempi si dimezzano.Controlli da effettuare con le scadenze stabilite a prescindere dal tipo di caldaia e di anzianità della stessa.Spetterà poi al comune effettuare delle verifiche a campione, per appurare lo stato della caldaia del cittadino. Non dimentichiamoci che nel caso in cui l’ispettore reputi che la revisione non sia stata effettuata secondo le norme vigenti, il proprietario, l’amministratore o l’inquilino rischia una multa che oscilla da un minimo 500 a un massimo di 3000 euro, come disposto dall’articolo 15 del D.l. 192/2005.

    6. Chi è abilitato ad effettuare il bollino blu?
    Il controllo deve essere eseguito da chi è abilitato ad effettuare il bollino blu, ovvero coloro che sono stati certificati dalla camera di commercio per lo svolgimento di attività da manutentore o installatore. Installatori che dal 1°agosto 2013, ai sensi dell’art. 15 del D.lgs n. 28/2011 che recepisce la direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, devono infatti obbligatoriamente disporre di tale certificazione, nel gergo nota come “patentino”, per installare e fare manutenzione di caldaie, caminetti e stufe a biomasse, sistemi solari fotovoltaici e termici, sistemi geotermici a bassa entalpia e pompe di calore.Si ricorda che a seguito della revisione della caldaia e del controllo dei fumi, deve essere rilasciato dal tecnico un rapporto di controllo tecnico da allegare al libretto di impianto. Copia di essi verrà trasmessa all’autorità competente, Comune o Provincia. A tal proposito non vi sarà sfuggito che dal 15 ottobre 2014 è in vigore un nuovo libretto di impianto obbligatorio per i proprietari di casa. Il nuovo libretto deve essere compilato per la prima volta dal manutentore, ma il vecchio che abbiamo in casa non deve essere gettato perché rappresenta la documentazione storica della caldaia.

    7. Il libretto della caldaia
    È la “carta d’identità” della caldaia autonoma. Per legge deve sempre riportare i dati del cliente, il numero di matricola dell’apparecchio, i risultati degli interventi di manutenzione nonché i dati relativi all’analisi dei prodotti della combustione. Su tale documento vengono annotati anche i risultati delle ispezioni svolte dalla Pubblica Amministrazione.

    8. Quali sono i tempi dell’intervento?
    La prassi prevede che i tempi dell’intervento siano circa di un’ora e mezza circa per un controllo sui fumi fatto a regola d’arte. L’intervento di revisione tecnica annuale è invece solitamente più semplice e si risolve nel giro di un’ora.

    9. Costo per la revisione e fumi della caldaia
    Il costo per la revisione della caldaia si può aggirare complessivamente intorno ai 160-230 euro ed è così scomponibile: dai 60 agli 80 euro per un’operazione di manutenzione ordinaria; mentre dai 100 ai 150 euro per il controllo emissioni fumi.Consiglio: Per ridurre le spese di manutenzione e revisione, è possibile sottoscrivere dei contratti di assistenza che prevedono dei pacchetti con un numero determinato di interventi di controllo, garantendovi così un risparmio di almeno il 10%.Nel caso in cui aveste una caldaia vecchia e con bassa efficienza energetica, con la nuova normativa, fossi in voi valuterei la possibilità di investire nell’acquisto di una nuova caldaia, ad esempio a condensazione, e approfittare della detrazione 65% in vigore fino al 31 dicembre 2015 per le spese effettuate sia per le singole unità immobiliare che per i condomini. Una soluzione che potrebbe consentirvi un grande risparmio nel lungo periodo.E’ indifferente dal punto di vista dei costi rivolgersi a centri di assistenza autorizzati o a tecnici multimarca: la strategia migliore che vi posso suggerire è quella di richiedere prima un preventivo.

    10. Tipologie di caldaie
    Le tipologie di caldaie sono principalmente 3 e si differenziano a secondo del loro metodo di funzionamento:

    caldaie a camera aperta;

    caldaie a camera stagna del tipo standard;

    caldaie a camera stagna a condensazione.

    Caldaie a camera aperta
    Le caldaie a camera aperta (tipo B), dette anche caldaie a tiraggio naturale, prevedono un solo tubo di scarico fumi e funzionano utilizzando per la combustione l’ossigeno presente nell’ambiente che aspirano grazie ad una piccola apertura frontale. Devono essere collocate in locali aerati, con assoluta esclusione di bagni, camere da letto e di locali dove siano presenti camini privi di autonoma presa d’aria, o all’aperto, per prevenire la formazione nei locali di ossido di carbonio per carenza di ossigeno;[1].Sono ormai di fatto escluse dalla normativa in quanto utilizzabili solo per una mera sostituzione, ovvero a condizione che sostituiscano una caldaia precedente dello stesso tipo.

    Caldaie a camera stagna del tipo standard
    Sono le più diffuse in quanto adatte alla stragrande maggioranza delle situazioni domestiche, gli appartamenti condominiali in primis. La sua installazione può avvenire in qualsiasi locale, che sia in bagno, in cucina o in uno spazio apposito purché ventilato.Le caldaie a camera stagna come indica il nome, sono costituite da una camera stagna per la combustione e si caratterizzano per avere la canna fumaria a tiraggio forzato. L’aria necessaria per la combustione, è incanalata difatti forzatamente (grazie ad un ventilatore ) attraverso tubi di adduzione aria, mentre i gas di scarico sono sempre rilasciati all’esterno mediante tubazioni e condotti isolati.

    Caldaia a camera stagna a Condensazione
    Scegliere la caldaia a condensazione è la soluzione ideale per chi la utilizza massicciamente, sia per riscaldamento che per produrre acqua calda.Si differenziano rispetto alle classiche nel consentire il “riutilizzo” dei gas di scarico. Una caldaia a condensazione è infatti in grado di recuperare il calore latente di condensa di tali fumi attraverso una speciale canalizzazione che consente di riscaldare anche l’acqua in entrata nella caldaia.E’ bene infine sapere che per tutte queste tipologie di caldaie esistono delle varianti a basamento o murali.Tipicamente, le caldaie a basamento hanno dimensioni superiori di quelle murali (dette anche pensili) e sono destinate ad essere installate in locali specifici, quali centrali termiche. Sono facili da installare perché sono semplicemente poggiate a pavimento, quindi collegate agli impianti. Possono essere ospitate dove ci sia spazio e dove possano essere correttamente alimentate con acqua e gas.Le caldaie murali sono adatte per installazioni sulle pareti, interne o esterne, delle abitazioni. Sono saldamente fissate e collegate agli impianti del gas e dell’acqua; possono essere ospitate in nicchie, locali caldaie e intercapedini create appositamente.

  • manutenzione e monitoraggio impianti fotovoltaici

    Con quasi 19 GW di impianti, in gran parte grandi parchi costruiti in fretta per approfittare degli incentivi prima dei tagli e che spesso ora stanno rivelando vari problemi, in Italia c’è moltissimo da fare per chi fa operation and maintenance nel fotovoltaico, cioè offre quei servizi di monitoraggio e manutenzione necessari a mantenere o migliorare la produttività degli impianti esistenti. Tanto più che con il duro colpo che lo spalma-incentivi darà ai bilanci di molti progetti sarà essenziale per la sopravvivenza economica che l’impianto dia il massimo.

    “Ormai possiamo dire che ci siamo occupati di circa 1 GW di impianti e ci siamo accorti che circa uno su quattro ha dei problemi”

    Gli inconvenienti più frequenti? “Quelli dovuti a scarsa qualità dei materiali, cattiva installazione, problemi alle cabine inverter, ecc. Difetti che possono compromettere di molto la produttività. Ad esempio il PID (Potential Induced Degradation, ndr), una problematica dei moduli di cui ci si è accorti solo negli ultimi 2-3 anni, può portare a perdite anche del 60-70% nel modulo e a livello di impianto può far scendere la produzione del 20-30%”.

    Insomma c’è molto da fare. In Italia – mostra l’ultimo Solar Energy Report del Politecnico di Milano, i cui autori interverranno al workshop di venerdì prossimo – a fine 2013 erano presenti 93 operatori che offrivano servizi «post-vendita» per impianti fotovoltaici, dei quali il 30% sono società specializzate in O&M. Il mercato che si dividono è solo il 2% degli impianti italiani, ma ben il 62% se si ragiona in termini di potenza: un giro d’affari di 368 milioni nel 2013, anno in cui si sono rinegoziati contratti per 1,5 GW, su un potenziale di 4,3 GW.

    Il vero boom è atteso nel 2016, quando giungeranno a scadenza gli impianti con contratti a 5 anni entrati in esercizio con il II e III conto energia. Ma il mercato dell’O&M, peraltro molto competitivo e per nulla facile, vedrà una spinta anche ‘grazie’ allo spalma incentivi.

    “A seguito dei tagli, molti non riescono pagare la rata del finanziamento e diventa allora essenziale ottimizzare la produttività”, Sempre più alta dunque l’attenzione affinché che gli impianti producano il massimo, a partire dal monitoraggio. “Un sistema di monitoraggio dà un insieme di informazioni che, se opportunamente analizzate, possono consentire di migliorare le performance e la produttività e quindi di sopravvivere allo spalma incentivi”, ci spiega un altro dei relatori del workshop di venerdì prossimo, Francesco Dipasquale di Polimatica.

    Lo spalma-incentivi, scopriamo, sta poi attirando nuovi soggetti pronti a investire per spremere il più possibile gli impianti esistenti. “Il taglio ha attirato fondi speculativi disposti ad accettare rischi maggiori. Al momento ci sono capitali per circa 1 miliardo che stanno cercando ‘special occasion’ sul mercato del FV esistente italiano: impianti da acquistare a costi ribassati per poi ‘rimettere a posto’ con operazioni di revamping affidate a terzi”, ci spiega Giovanni Simoni. a.d. di Kenergia.

    Ma allora, il taglio retroattivo che ha colpito duramente il settore avrà un impatto positivo per chi fa O&M? “Non proprio: i prezzi sono molto bassi, c’è molta competitività, a contendere il mercato sono arrivati anche grandi operatori stranieri”, risponde Simoni. “I prezzi sono scesi del 20-25% rispetto all’anno scorso e si dice che qualche grande operatore stia facendo dumping per eliminare dal mercato i più piccoli e meno attrezzati”. Già nel corso del 2013, leggiamo dal Solar Energy Report, i prezzi dei servizi O&M erano calati del 12% su base annua e del 48% sul 2010 per gli impianti da diversi MW e del 31% su base annua e del 52% dal 2010 per quelli sotto al MW.

    Ma oltre che sui prezzi, su cosa si gioca la competizione tra operatori O&M? “Sui tempi di intervento e le altre forme di garanzia, sui costi delle spare parts e altro ancora”, spiega Simoni.

    E, guardando la questione dalla prospettiva del proprietario dell’impianto, come si sceglie l’operatore O&M migliore? “A parità di servizi e garanzie bisogna informarsi se chi offre i servizi dispone di personale qualificato in loco, abilitato per interventi su inverter, di primo e anche di secondo livello. Oltre a questo è importante che abbia disponibilità immediata di pezzi di ricambio, avendo magari accesso a magazzini anche consorziati con altre aziende. Infine va considerata anche la solidità e l’esperienza: diverse società che offrivano prezzi e garanzie che non riuscivano a sostenere sono saltate”.

  • Pulizia e controllo impianto fotovoltaico

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  • Monitoraggio GSE

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  • Etichette Energetiche dal 26 Settembre 2015

    Dal  26 settembre sono in vigore in tutta Europa i nuovi standard di efficienza energetica e l’obbligo di etichettatura per le caldaie e gli scaldabagni domestici, una misura lungamente attesa a Bruxelles che rappresenta l’implementazione settoriale delle direttive Ecodesign ed Etichetta Energetica..

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    La misura più importante Si tratta della più importante misura di efficienza energetica domestica mai varata dalla Commissione europea: vale infatti il 15% degli obiettivi dell’UE in materia al 2020. Non a caso ci sono voluti molti anni affinché vedesse la luce, a causa dei tanti interessi in gioco che hanno tenuto bloccato il provvedimento nelle stanze di Bruxelles, dove ministeri, costruttori, installatori, consumatori e ambientalisti si sono dati battaglia per anni a colpi di documenti e dossier. Quali prodotti coinvolge? Ad essere interessati alla nuova normativa saranno le caldaie per ambienti con o senza acqua calda sanitaria e gli scaldabagni e i serbatoi di accumulo di natura domestica, che in Europa vengono installati al ritmo di 6,6 milioni ogni anno (circa 850.000 il dato italiano del 2013). Da domani potranno essere immessi sul mercato solo caldaie a condensazione e scatterà l’obbligo di etichettatura per consentire al consumatore di poter scegliere i prodotti più efficienti. Tale obbligo riguarda esclusivamente i produttori e non comporta il ritiro dal mercato delle caldaie di tipo tradizionale: per rivenditori ed installatori è possibile quindi esaurire le scorte di magazzino ed installarle se così chiede il cliente. È un grosso cambiamento, potenzialmente in grado di portare il consumatore a risparmiare, quando cambia caldaia, circa 400 euro in media a famiglia, considerando che la spesa per il riscaldamento e l’acs è, dopo quella per l’automobile, tipicamente la spesa fissa più rilevante per la famiglia media italiana. E i benefici in termini di mancate importazioni e consumo di combustibili fossili non sono da meno. L’attuale parco caldaie in Europa consuma 216 Mtep e rappresenta il 16% del consumo annuo di energia primaria dell’UE, mentre per gli scaldabagni il dato è del 2,8%. (dati 2006).
    ecodesignEtichetta

     

  • Il fotovoltaico conviene anche senza incentivi

     

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    Il fotovoltaico senza incentivi non conviene? Tutt’altro, grazie al calo dei prezzi registrato negli ultimi anni gli impianti fotovoltaici sono convenienti anche senza incentivi.

    I pannelli possono potenzialmente essere installati su buona parte dei 10,5 milioni (su un totale di 11 milioni) di tetti di case mono e bifamiliari ancora prive ma anche sul milione di tetti di capannoni industriali.

    Se si coprissero di moduli fotovoltaici tutti i tetti disponibili si installerebbero circa 100 ulteriori GWp, considerando 4,5 kWp come taglia media per un impianto fotovoltaico domestico e 50 kWp come taglia media per un capannone.

    Il risultato? Una produzione annua di circa 130 TWh, pari al 42% del fabbisogno elettrico italiano. Secondo l’analisi di Italia Solare, inoltre, 18 GWp già installati più nuovi 100 GWp porterebbero la quota da fotovoltaico sulla domanda nazionale elettrica a superare il 50%.

    Energia pulita prodotta in Italia, non frenata dalla necessità di accordi con altri paesi e senza royalties da pagare. I 100 GWp in circa 30 anni sarebbero in grado di produrre la stessa energia ottenuta sfruttando il giacimento di gas recentemente scoperto dall’ENI in Egitto, con la differenza che il solare è potenzialmente infinito.

    “Il giacimento di energia solare sopra di noi è nostro, nel senso che è di tutti gli italiani, basta solo volerlo sfruttare. Il bello è che è anche della stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta, almeno di quelli che vedono il Sole la maggior parte dei mesi dell’anno” spiega Italia Solare, secondo cui ciò permetterebbe di evitare molte guerre “la maggior parte delle volte sono proprio causate dalla lotta per l’accesso ai giacimenti o alle vie di trasporto del gas e del petrolio”.

    E i costi sono tutt’altro che elevati, considerando che il fotovoltaico è sempre più competitivo e in molti casi più economico delle fonti fossili. E tra qualche anno potrebbe essere favorito anche dalla maggiore diffusione dei sistemi di accumulo di energia.

    “Italia Solare incoraggia tutti gli italiani a passare al fotovoltaico per ridurre le bollette e la dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili inquinanti e provenienti quasi sempre da paesi a rischio, ma soprattutto per diminuire l’inquinamento a tutela della salute di tutti noi e per contribuire in maniera significativa al rallentamento del preoccupantissimo surriscaldamento del pianeta”

     

  • Pompe di Calore per Riscaldamento

    Pompe di calore alta efficienza – funzionamento

    Pompe di calore alta efficienza

    Le pompe di calore ad alta efficienza  sono macchine in grado di trasferire l’energia gratuita presente nelle sorgenti esterne (aria, acqua, suolo) agli impianti per il riscaldamento e l’acqua calda sanitaria. Il trasferimento di calore avviene per mezzo di un circuito frigorifero ad alta efficienza con un ridotto assorbimento di energia elettrica.

    Le pompe di calore e il risparmio energetico

    Le pompe di calore sono una tecnologia matura per dare un contributo significativo al risparmio di energia ed alla protezione del clima. Circa il 75% dell’energia prodotta proviene dall’ambiente esterno e l’apporto di energia elettrica è solo del 25%.

    Pompe di calore e fonti rinnovabili

    Possono coprire gli interi fabbisogni di riscaldamento, raffrescamento e produzione di acqua calda sanitaria attingendo a fonti rinnovabili: all’energia termica sottratta all’ambiente può sommarsi l’energia elettrica prodotta da tecnologie alternative in modo da raggiungere una completa indipendenza energetica.

    Pompe di calore Aria-Acqua

    L’evoluzione tecnologica ha prodotto importanti risultati nel settore delle pompe di calore aria-acqua: queste macchine sottraggono energia all’aria esterna per cederla al circuito idronico. Le moderne pompe di calore sono in grado di sottrarre energia all’aria a -20°C di temperatura esterna.

    Pompe di calore Geotermiche 

    Le pompe di calore geotermiche ricavano energia dal terreno oppure dall’acqua di falda riuscendo a garantire tutto l’anno rese stabili, grazie alle ridotte oscillazioni termiche del sottosuolo.

    Tanti vantaggi con le pompe di calore

    • Risparmio costi di gestione dal 30% al 70%
    • Riduzione delle emissioni di CO2Rotex
    • Facile abbinamento ad impianti fotovoltaici
    • Unica macchina per riscaldare, condizionare e produrre acqua calda
    • Realizzate e progettate in Italia
    • Possibilità di estensione garanzia

    Il vantaggio economico con le pompe di calore

    Le pompe di calore, oltre a assicurarti un risparmio sulla bolletta fino al 70%, godono della
    detrazione IRPEF del 65%

    Niente gas in casa con le pompe di calore

    Le pompe di calore non necessitano di controlli periodici frequenti, garantiscono la massima sicurezza in quanto non hanno nessun allacciamento di gas, e nessun serbatoio contente sostanze pericolose.

    La pompa di calore per il risparmio energetico

    Abbinando pompe di calore agli impianti radianti potrai ottenere comfort e il massimo del risparmio energetico ed economico.

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